I
super-tele non erano granché come palloni. Quando li
calciavi dovevi incrociare le dita, perché la loro traiettoria era
soggetta a leggi non prevedibili.
A
differenza del pallone vero, 12 pentagoni e 20 esagoni di cuoio
cuciti tra loro, i super-tele erano banali sfere di plastica sottile,
che si bucavano anche se li guardavi male.
Molto
migliori erano i super-santos. Pesavano qualche grammo in più e
avevano persino dei pentagoni neri qua e là, ma per figura. Però quando li tiravi andavano in porta sul serio, non come i super-tele,
che se li portava via il vento.
Ed
era con quella sfera di plastica arancione che passavamo i nostri
pomeriggi, dribblando tra le pozzanghere, mentre la melma si
attaccava alle scarpe e il fango ti schizzava negli occhi.
A
giocare c'eravamo sempre io, Gerardino, Emilio e Fiore, se non era
impegnato a scavare da qualche parte.
I
quegli anni, infatti, il paese era diventato una specie di grande
cantiere, e la collina di dura roccia veniva scavata per far posto
alle nuove costruzioni.
Fiore
manovrava la pala meccanica del padre con la perizia di un adulto,
anche se era soltanto un ragazzino, come noi del resto.
Per
non farlo sentire solo, qualche volta lo seguivamo col pallone fin
sopra il cantiere e giocavamo negli spiazzi tra le fondamenta, in
attesa che lui finisse e si unisse a noi.
Ma
per quanto fosse estraniato dal fracasso dell'escavatore, Fiore dava
sempre un'occhiatina al gioco e, qualche volta, interveniva.
Una
volta Fiore, dopo averci urlato per un po' (inutilmente, dato il gran
rumore) lanciò indispettito una pietra verso uno dei lati del campo.
“Forse
ha visto un serpente ...”, pensammo noi.
“Ma
che serpente!”, urlò Fiore, dopo aver spento il mezzo: “Era
fuori gioco, stronzi!”.
Ma
Fiore non si limitava a guardare. Se gli veniva lo sghiribizzo,
scendeva dal mezzo e si introduceva nell'azione. E allora lo potevi
vedere correre verso la porta, mentre con un occhio teneva sotto
controllo il caterpillar, che lo attendeva col motore ancora acceso.
Che
tempi!
Dovete
sapere che questi palloni raramente arrivavano in fondo alla giornata
senza finire bucati da qualche spina, o sequestrati dalla solita
vicina incazzosa, o perduti per sempre in qualche nero anfratto.
Per
cui, quando una bella sera, dopo averlo preso a calci per ore, il
pallone era ancora lì, gonfio come appena comprato, ce lo rigirammo più volte tra le mani e
pensammo: ma l'abbiamo mai visto, noi, un pallone che scoppia? Un
pallone, voglio dire, proprio nel mentre che scoppia?
Fiore
ci disse: "Guagliù, ma siete proprio sicuri che lo
volete fare?"
"Siiiii!", rispondemmo noi in coro, pensando a
quella cosa nuova che sarebbe successa, un po' dissacrante, persino
eccitante.
E
lui: "Guardate che me l'avete chiesto voi, poi non voglio
lamentele, eh!"
E
noi: "Vai, Fiò! ingrana la marcia!", urlammo noi, dal
cuore della folla.
Fiore
ci fece segno con la mano di farci da parte e, ancora poco convinto,
ingranò la prima.
Con
un leggero scossone, l'enorme mezzo – bello, grande, che sembrava
un rinoceronte infuriato -- cominciò a muoversi verso il povero
pallone, fermo a due metri dalla porta, nel fango appiccicoso della
murgia appena scavata.
A
pochi centimetri dal pallone, il caterpillar indugiò ancora una
volta, sbuffando fumo nero e olio dal tubo dello scappamento.
Fiore
ci guardò, come per dire "Allora, vado?" e noi annuimmo:
"Vai!".
L'enorme
cingolo fu subito sopra il pallone, il quale guaì per un attimo, per
poi cadere giù a pezzi, come foglie di verza appena tagliate.
Era
già finita.
E
mentre Fiore riprendeva il suo scavo, noi ci guardammo l'un l'altro,
non tristi ma neppure allegri, proprio come deve sentirsi chi lascia
la piazza dopo aver assistito ad una esecuzione.
(C)
2010 M.Andreoli

Nessun commento:
Posta un commento